La Fed (adesso) è “paziente”
Lo ha affermato l’attuale numero uno della banca centrale Usa, Jerome Powell durante il suo intervento all’Economic Club di Washington, DC. Una preoccupazione che nasce dalla natura del debito stesso: si tratta, infatti, di una cifra che come ha sottolineato Powell sfiora i 22mila miliardi di dollari, per la precisione 21,9. Un macigno che vede la Cina come secondo creditore dopo la Federal Reserve (2.232,9 miliardi per la banca centrale contro 1.138,9 miliardi della Cina) Al terzo posto tra i creditori di Washington, il Giappone con 1.138,9 miliardi.
Va da sè che, aumentando i tassi di interessi il debito in questione diventerebbe ancora più oneroso.
Le ire di Trump
A questo si deve aggiungere anche il fatto che il deficit annuale degli Stati Uniti è a sua volta in crescita: le previsioni parlano di 1 trilione di dollari. Da qui l’interrogativo su di una scelta che, di prassi, imporrebbe, con un deficit alto, la strada dei tassi in diminuzione. La politica di normalizzazione dei tassi è stata ampiamente criticata dal presidente Usa Donald Trump che più di una volta ha tuonato (via Twitter ovviamente) contro le decisioni di Powell. Le ire presidenziali sono cresciute talmente tanto da spingere l’inquilino della Casa Bianca a definire la Fed “l’unico problema dell’economia statunitense”.
La minaccia di Fitch
Anche Fitch è recentemente intervenuta nella diatriba. L’agenzia di rating ha infatti emesso un allarme sul rating del debito sovrano statunitense minacciando un possibile downgrade qualora lo shutdown attualmente in corso dovesse proseguire fino a spingere la nazione a toccare il tetto del debito. Appunto, lo shutdown, cioè il blocco parziale delle attività amministrative a causa della mancata approvazione della legge di bilancio. Approvazione mancata che nasce dal fatto che il presidente Trump ha imposto di includere tra le voci di spesa anche quella riguardante il budget per la costruzione del muro al confine con il Messico.
Lo scontro con i democratici
Muro che, i rappresentanti democratici alla Camera, non hanno intenzione di votare. Essendo adesso proprio i democratici ad avere la maggioranza nel ramo del Congresso, lo scontro sta andando avanti ormai da oltre 21 giorni. Il che ha costretto oltre 800mila persone a restare a casa senza stipendio a causa della chiusura degli uffici. Un’emergenza che ha portato quindi nuova attenzione sulla questione del debito in perenne crescita e la Fed ad assumere un atteggiamento più elastico. La conferma proprio nelle parole di Powell che ha definito “paziente” la strategia dell’istituto.
Anche la Cina ha problemi
Tutti segnali, questi, che hanno rassicurato i mercati. Non solo, ma un aiuto ai mercati stessi, seppur indiretto, potrebbe arrivare da Pechino. L’economia del gigante asiatico è in difficoltà. Dopo i numerosi dati macro visti puntualmente in flessione, oggi è arrivata un’ulteriore conferma sebbene non ufficiale. Stando ad un report Reuters, le autorità cinesi, infatti, avrebbero deciso di abbassare il target di crescita economica per il 2019. Numeri alla mano si parla di un range tra 6-6,5% e che è inferiore anche a quel 6,5% “circa” fissato precedentemente. Quale vantaggio potrebbe esserci tra la debolezza dell’economia cinese e i mercati? Molto semplice: di fronte ad una potenziale fragilità, Pechino sarà indiscutibilmente spinta a trovare un accordo a tutti i costi con Washington sulla guerra dei dazi. I primi segnali positivi ci sono stati, adesso non rimane che attendere. Sperando non troppo tempo.
Articolo a cura di Rossana Prezioso
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