Dopo un rinnovato di interesse per le monete asiatiche da parte degli operatori, secondo Jp Morgan si sta osservando un ritorno degli investitori internazionali su Pechino. La conferma arriva da un numero su tutti: +10% dello Shanghai Composte da inizio anno come sottolinea anche Jing Ulrich, amministratore delegato e vice presidente per l'area Asia Pacifico di JP Morgan Chase.
Il motivo della fiducia? Un cambio del sentiment globale
Dopo mesi di timori per l’economia del Dragone, timori peraltro anche fondati, nel prossimo futuro si guarda con ottimismo agli impatti delle misure politiche e finanziarie adottate dal governo centrale. Sembrano perciò dissiparsi le ombre nate dopo la constatazione di un aumento del debito e di un rallentamento dell’intera economia da parte degli investitori istituzionali globali. Il focus, adesso è sui settori in rapida crescita come la tecnologia, i veicoli ibridi e autoguidati ma anche il ramo più ampio dell’intelligenza artificiale. Tutte queste, infatti, vengono giudicate come aree resilienti anche in caso di rallentamento economico. La Cina è ormai in corsa per diventare la prima potenza economica mondiale e per esserlo non potrà fare a meno di uno sviluppo continuato su telecomunicazioni, hitech e AI.
Guerra dei dazi a due facce
La guerra dei dazi, prima pietra d’inciampo per i mercati internazionali, non dovrebbe tardare a risolversi. Sembra essere ormai certo un prolungamento delle tempistiche dei colloqui con la delegazione statunitense, il che, sebbene non sia l’annuncio di una ritrovata intesa tra le parti, resta comunque un elemento positivo. Anche se questa decisione sembrerebbe nascere, paradossalmente, più da un’esigenza statunitense che da una cinese. I numeri, infatti, fanno sospettare qualcosa di più. Nell’ultimo anno le esportazioni a stelle e strisce verso la Cina non sono andate oltre i 111,16 miliardi di dollari, ovvero 7,2% delle vendite totali americane all'estero. La Cina, al contrario, è arrivata alla cifra di 493,49 miliardi di dollari sul fronte statunitense. Ce ne sarebbe per una rivendicazione forte da parte di Washington, ma il presidente Donald Trump, ormai proiettato verso le prossime elezioni, ha fretta di chiudere la questione accontentando più che altro il suo bacino di elettori più entusiasti: settore agricolo e industriale.
Il compromesso al ribasso… per Washington
Inizialmente gli Usa chiedevano anche riforme sul commercio. Nello specifico: protezione della proprietà intellettuale, la messa al bando dei trasferimenti forzati di tecnologia e lo stop di finanziamenti di stato che alla lunga tendono a forzare l’andamento di mercato. In realtà l’accordo che sembra essere in arrivo si basa per lo più su una graduale limitazione del surplus commerciale e delle eccedenze cinesi negli States. Da parte sua, in estrema sintesi, Pechino si impegnerebbe ad acquistare maggiori quantità di prodotti agricoli made in Usa e di semiconduttori. Non di più.
Intanto Pechino si muove all’interno della sua economia con l’obiettivo di stimolare la domanda interna. Gli investimenti nelle infrastrutture, l’abbassamento dei requisiti patrimoniali per le banche e i tagli alle imposte saranno il miglior biglietto da visita per l’economia nazionale cinese. Un biglietto da visita che, dopo le preoccupazioni delle scorse settimane arriveranno a rischiarare l’orizzonte dei mercati.
Articolo a cura di Rossana Prezioso
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