Il presidente Usa Donald Trump è riuscito a strappare, recentemente, un accordo con l’Ue che ha permesso di triplicare l’export di carne in Europa.
La questione agraria in Usa
Un punto a favore del tycoon ma soprattutto del settore agricolo, un comparto che, messo a dura prova dalla guerra dei dazi, era già in sofferenza da diverso tempo, complici anche i fenomeni meteo sempre più estremi e sempre più frequenti. Quella dei dazi è una guerra che, nata contro la Cina, si potrebbe però estendere ovunque dal momento che Trump ha già preso di mira non solo l’Unione ma anche il Giappone. Ma è proprio verso Bruxelles che il tycoon ha espresso parole non particolarmente rassicuranti, ieri, durante un colloquio con i giornalisti alla Casa Bianca.
“Trattare con l’Ue è difficile. Ma ci daranno tutto ciò che vogliamo. Basta tassare le loro auto. Infatti inviano milioni di Mercedes e anche di BMW”. Una minaccia che nei mesi scorsi era stata rivolta anche a Tokyo: tassare gli autoveicoli e i pezzi di ricambio, salvo poi posticipare la cosa di 180 giorni in attesa di un accordo.
Il problema europeo
L’Europa, a conti fatti, è quella che rischia più di tutti di pagare un conto troppo salato in questa disputa commerciale. Tanti i rischi per il Vecchio Continente. Prima di tutto la mancanza di competitività: dopo anni di stagnazione, l’Europa non è più la meta preferita delle grandi aziende quando si parla di investimenti. L’Asia, con il suo potenziale di crescita e la sua manodopera super specializzata, è stata preferita dalle grandi multinazionali (spesso statunitensi) che volentieri hanno esternalizzato servizi e impianti industriali. La prova di questo sta nel fatto che la sola locomotiva europea (o per meglio dire l’ex locomotiva europea) è la Germania la quale, con l’inasprirsi delle tensioni internazionali, ha iniziato a registrare un pesante passivo sul Pil. Nel Vecchio Continente l’industria tedesca è il fiore all’occhiello dell’export europeo verso l’Asia, mentre le altre nazioni collaborano, come anche Berlino, nell’invio di auto in Usa. Le case produttrici tedesche ricavano gran parte dei profitti dalla Cina (Audi arriva al 42%, Volkswagen poco sopra il 38%) ma in Italia ci sono nomi come FCA che guardano sia a Pechino che a Washington. Senza contare tutto l’indotto che verrebbe inevitabilmente penalizzato.
Gli investimenti Made in China
Continua, intanto, la battaglia sul fronte cinese. Secondo una nuova ricerca di Moody’s Investors Service, gli investimenti cinesi all’estero sono destinati a diminuire nei prossimi anni. Troppi i rischi a livello internazionale, rischi che costringeranno gli investitori ad assumere un atteggiamento molto più cauto, soprattutto nei mercati emergenti e in quelli di frontiera. In realtà si tratta semplicemente di una presa di consapevolezza delle relazioni, a volte difficili, che si stanno instaurando tra le azione in seguito alle ultime dispute commerciali. Ma non solo. Maggiori regolamentazioni hanno rallentato il trend già negli ultimi due anni. A questo si aggiunga anche il fatto che molti paesi emergenti hanno cambiato il loro atteggiamento con il cambio delle varie leadership.
La nuova Via della Seta
Un esempio su tutti: Pakistan, Malesia e Sierra Leone hanno sospeso, quando addirittura non annullato, gli impegni presi con il progetto Belt and Road (meglio conosciuto come La nuova via della Seta) a causa di vari motivi, tra cui i cambiamenti politici e la resistenza delle comunità locali. Come fanno notare da Moody’s, infatti, per anni, gli investimenti diretti all’estero da parte delle autorità cinesi, sono stati supportati da specifici progetti governativi.
Progetti che puntavano ai paesi in via di sviluppo, promuovendo la costruzione ed il potenziamento delle infrastrutture. Nel 2016 l’aumento di questi investimenti è stato di oltre i 49%, un picco dopo il quale si è registrato un progressivo declino. Nel 2017 c’è stato infatti un calo del 23% diventato poi del 13,6% nel 2018.
Articolo a cura di Rossana Prezioso
Le informazioni contenute in questo sito non costituiscono consigli né offerte di servizi di investimento.
Leggi il Disclaimer »