Il Petrolio di Scisto

Emanuele Rigo Emanuele Rigo - 26/08/2016 13:02

Opinione di Emanuele Rigo, analista di AvaTrade, sulla crisi del prezzo del petrolio.


Se ne discute ormai da diverso tempo in ottica novità che potrebbe andare a influenzare, in un futuro prossimo, l’intero comparto mondiale degli idrocarburi.
Parliamo di energia, ovvero uno dei temi centrali a livello globale e che con ogni probabilità continuerà a occupare il dibattito nei prossimi anni. Le problematiche sono note: trovare il modo di ricorrere a un approvvigionamento che sia il più possibile sostenibile e diversificato. Prima o poi, altrimenti, l’intero settore potrebbe finire a gambe all’aria.

Basta questo per comprendere l’importanza del petrolio, nel nome del quale spesso e volentieri si portano avanti anche guerre, e la necessità di trovare strade alternative. Da alcuni anni negli Stati Uniti una luce sembrerebbe essersi accesa. Una rivoluzione tale potrebbe rivelarsi di qui a venire che porta il nome di petrolio di scisto.


Il Petrolio di Scisto
Di cosa si sta parlando? Lo scisto bituminoso, trasposizione dall’inglese shale oil, è un’emanazione diretta del gas scisto che ha già prodotto una piccola rivoluzione in ambito energetico sempre negli Usa. 
Lo scisto bituminoso, come suggerisce il nome stesso, viene prodotto tramite procedimenti chimici piuttosto complessi da sedimenti ricchi di bitume. Miscela che deriva proprio dal processo di distillazione o raffinazione del petrolio greggio.

Una tecnica già conosciuta da anni per la verità, ma che fino a poco tempo fa non era conveniente dal punto di vista economico. Da alcuni anni la tendenza si è invertita a causa della corsa del prezzo del petrolio, cui si è assistito fino a poco tempo fa, e delle tecniche di estrazione dello stesso che ancora non avevano raggiunto livelli d’eccellenza come quelli attuali.

Il cambiamento di queste due condizioni ha dato il via ad una rivoluzione sul mercato, il cui detonatore è stato un fatto fondamentale quando si parla di petrolio di scisto: le sue riserve sarebbero a dir poco ingenti, cifre parlano di una quantità tale di scisto da coprire il fabbisogno per i prossimi 15 anni.


Le tecniche per l’estrazione
Come detto uno degli aspetti che in passato aveva bloccato il diffondersi di questo idrocarburo era la difficoltà di estrazione.
L’olio di scisto è infatti presente nelle rocce e per essere estratto occorre partire dalla tecnica cosiddetta di fracking: la frantumazione delle stesse.
La roccia che imprigiona l’olio deve essere quindi minata, frantumata e poi trasportata in un apposito impianto. Ecco quindi la prima criticità che in passato aveva bloccato questa tecnica: il ricavo energetico che si ottiene da questa nuova fonte di approvvigionamento andrebbe ad essere parzialmente cancellato dall’energia che deve essere impiegata per estrazione e trasformazione dello scisto.


L’affinamento delle tecniche cui si sta assistendo negli ultimi anni è riuscito in parte ad attenuare questa stortura. Investendo per migliorare ancor di più il processo produttivo si arriverebbe a dare al pianeta un futuro energetico più sicuro basato sull’utilizzo dello scisto.


Scisto e calo del petrolio tradizionale
Ovviamente tutto questo discorso è direttamente correlato alla questione del calo dei prezzi del greggio.
Negli ultimi mesi il petrolio ha raggiunto minimi come non si vedevano da anni arrivando a scendere sotto i 30 dollari al barile. Le ragioni del calo vanno ricercate in tanti fattori: da una domanda in discesa, soprattutto per il rallentamento di alcune economia in via di sviluppo, come la Cina, che negli anni scorsi avevano trainato il consumo di greggio; alla maggiore efficienza raggiunta da alcune economie, soprattutto le più sviluppate, in materia di utilizzo dei carburanti fossili.

E, non ultimo, sul calo del greggio ha influito proprio questo boom del petrolio di scisto negli Stati Uniti, dove questo idrocarburo viene ormai prodotto in quantità industriale. Grazie a questa grande rivoluzione gli Usa hanno raggiunto nel 2014 il primo posto tra le potenze energetiche mondiali scavalcando l’Arabia Saudita (che non a caso alcuni mesi fa aveva provato a rimediare andando a inondare il mercato mondiale con una quantità giornaliera di petrolio superiore alla media). Tutto ciò ha avuto notevoli ripercussioni anche dal punto di vista geopolitico.


Le ripercussioni geopolitiche
Questo boom dello scisto ha causato, come si può facilmente immaginare, non pochi problemi ai paesi dell’Opec. L’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio nata nel 1960 e che proprio nell’Arabia Saudita ha il soggetto principale. 
Questa organizzazione per anni ha avuto il sostanziale monopolio del petrolio mondiale facendo affari d’oro; l’emergere dello scisto unito alle contingenze di cui sopra che hanno portato al crollo del prezzo del greggio (a questo si aggiunga anche l’annullamento delle sanzioni all’Iran da parte degli Usa e in disaccordo con l’Opec stesso, che di fatto ha consentito al paese degli ayatollah di riprendere le proprie esportazioni), ha generato un effetto deleterio nei paesi dell’Opec. 
 
Questi paesi dovrebbero reinventare il proprio modello produttivo e rischierebbero di perdere un monopolio dato che, numeri alla mano, i paesi con maggiore quantità di scisto, in proiezione futura, sarebbero Canada, Russia, Stati Uniti, Cina, Argentina e Libia, unico paese facente parte dell’Opec.

In sostanza dietro all’emergere del petrolio di scisto si nasconderebbero anche questioni geopolitiche molto delicate che potrebbero stravolgere gli equilibri internazionali cui, fino ad oggi, abbiamo assistito. 


Emanuele Rigo per AvaTrade

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