Solo pochi giorni fa, il 19 febbraio, il future dell’indice S&P 500 ha avuto il suo massimo a 3393,5, il 28 febbraio il minimo del contratto è stato a 2853,25. L’indice più importante al mondo, lo S&P 500, famoso anche per la sua compostezza, ha avuto il 16% di escursione in otto sedute. Escursioni più ampie si sono avute in tutti gli altri principali indici mondiali. Allo stesso tempo il VIX, l’indice della paura che tramite la volatilità implicita delle opzioni sull’indice S&P 500 riflette le prospettive degli investitori sulla volatilità di breve periodo, è passato da 14 ad un massimo di 49,48. Nel lunedì nero dei 24 febbraio, l’indice FTSE MIB è crollato del 5,4%.
Era dal giorno successivo al referendum sulla Brexit che non si vedeva un tonfo più ampio. Così come nel giugno del 2016, prima del referendum, gli operatori si sbagliarono perché avevano scontato la vittoria dei “no Brexit”, allo stesso modo fino a 10 giorni fa i mercati scontavano che il problema del virus venisse presto risolto. Quando i mercati snobbano dei rischi, la dimensione del successivo crollo dei prezzi non deve essere esclusivamente correlato al “trigger” del momento, ma anche alle sopravvalutazioni precedenti. Non considero quindi eccessiva questa correzione che ritengo salutare e anche protettiva da uno scoppio di una bolla che stava creandosi nei mercati. Il coronavirus rimane ancora un problema indefinibile, non controllabile o misurabile, ma, a differenza di prima, oggi prezzato dal mercato. Prezzati i rischi, diventa meno rischioso investire.
Non credo ad una ripresa immediata dei mercati azionari, reputo inoltre che nel 2020 non rivedremo nuovi record storici: l’esperienza di questa settimana clamorosa rimarrà impressa tra gli addetti ai mercati e ci vorrà del tempo prima di rivedere quella costante baldanza senza scrupoli, sorda e quasi sfacciata. Vero che la liquidità sarà sempre più esuberante, vero che i tassi saranno sempre più bassi, ma se anche le azioni sono l’unica alternativa per aver un rendimento, tale rendimento può essere anche negativo. Non scordiamocelo! I media parlano di probabile recessione per l’Italia e di probabile calo di PIL delle maggiore economie mondiali. I media devono essere prudenti nelle parole, non amano rischiare e quindi solo sussurrano quali potrebbero essere i dati del primo trimestre del 2020. Io invece ho pochi dubbi: convivremo con i prossimi dati macro che saranno molto negativi e che progressivamente constateranno un deciso passo indietro dell’economia globale.
Mi aspetto un PIL cinese del primo trimestre negativo, mi aspetto un PIL italiano molto negativo (ben oltre -1%) e quindi saremo presto in recessione tecnica. I mercati stanno già scontando tutto, non aspetteranno certo l’ufficializzazione dello stato delle cose. In questo clima è difficile quindi attendersi i soliti recuperi prodigiosi; mi aspetto invece un aumento della volatilità media, non come quella eccessiva dell’ultima settimana, ma comunque sopra la media degli ultimi tre anni. Sappiamo tutti di trovarci in una brutta situazione, una situazione però che è in pieno divenire e non ancora definibile. Ai mercati piacciono le certezze (anche se negative) e per ripartire vogliono capire bene lo stato delle cose. Nella prima parte dell’anno avremo dei dati economici pessimi, al contrario nel secondo trimestre del 2020 potremmo avere dei dati eccellenti. La mia è una previsione motivata dalla razionale speranza che il virus sarà presto debellato. Quando il mercato avrà la fondatezza di ciò, allora ci sarà un recupero importante e i dati macro negativi verranno ignorati. La difficoltà sta nell’azzeccare da dove partirà il recupero.
Ovvio che oggi nessuno conosce quale saranno “i minimi” e chi lo indovinerà, lo avrà fatto per fortuna. Agli investitori non rimane che entrare gradualmente confidando nel fatto che oggi i prezzi non siano più eccessivi ma più corretti.
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Articolo a cura di Tony Cioli Puviani
Fonte: certificati.vontobel.com
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