Caos petrolio: facciamo il punto della situazione

Redazione Traderlink Redazione Traderlink - 23/11/2018 12:15

Se non proprio dalle stelle alle stalle, poco ci manca. Il petrolio ha visto nelle ultime settimane un andamento che ha lasciato tutti stupiti, se non addirittura spaventati per il modo il cui si può passare dai massimi degli ultimi 4 anni ad un mercato orso con un -30% dai picchi registrati nel 2018. Dopo il crollo del 7% arrivato martedì scorso anche il direttore dell’Agenzia internazionale dell’energia (Aie), Fatih Birol, ha gettato la spugna e ha parlato di un petrolio ormai entrato “in una fase di incertezza senza precedenti”.
 

La view di JP Morgan

Da qui il cambio di rotta anche degli analisti, ultimi in ordine di tempo, quelli di JP Morgan che hanno tagliato le prospettive sui prezzi del Brent dalla precedente stima di 83,5 dollari al barile all'attuale di $ 73 al barile nel 2019 e a 64 nel 2020. Determinante è stata la decisione dell'Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio di accelerare la produzione all'inizio di quest'anno in parallelo ad un possibile calo della domanda previsto in arrivo nel 2019. I numeri suggeriscono che per riequilibrare il mercato l'OPEC dovrebbe ridurre la produzione di petrolio di 1,2 milioni di barili al giorno. Intanto l'attenzione si sposta al 6 dicembre, giorno della prossima riunione del cartello i cui membri pare siano orientati insieme ad altri produttori trasformatisi in alleati, ad un taglio alla produzione di 1,4 milioni di barili al giorno per riequilibrare il sistema ed arginare il crollo.
 

Barile sulle montagne russe

Proprio quando il barile intravedeva la possibilità, fino ad allora giudicata al limite dell'onirico, di toccare i 100 dollari al barile, ecco scatenarsi una tempesta perfetta. In realtà i tweet del presidente Donald Trump non sono stati altro che una tessera, peraltro piccola, in un mosaico variegato di cause che vedono protagonisti oltre agli Usa e alle classiche dinamiche di domanda ed offerta, anche altri soggetti, di ben altro calibro. All'inizio dell'anno gli Usa avevano ampiamente confermato la loro volontà di uscire dal patto di sorveglianza del nucleare iraniano e imporre unilateralmente sanzioni a Teheran, colpevole, a loro dire, di violare un accordo già di per sé pessimo. Le sanzioni al terzo maggiore produttore di petrolio avrebbero incluso anche lo stop all'export di greggio, export che, dopo oltre 20 anni, stava ritornando a rifiorire anche per l'ottima qualità del petrolio iraniano. Con le sanzioni alla repubblica iraniana sarebbero venuti meno circa 1 milione di barili al giorno. Risultato: prezzi in aumento.


Colpi di scena

Troppo per il presidente Trump il quale ha chiesto (imposto, forse sarebbe più corretto) all'Arabia Saudita, vera e propria banca centrale del petrolio, di riaprire i rubinetti per riequilibrare le cose. Da qui il record di produzione raggiunto da Ryad nei mesi scorsi. Quello che nessuno aveva previsto era che la Casa Bianca adottasse misure più morbide del previsto concedendo addirittura deroghe a 10 paesi, tra cui anche India e Cina, grandi consumatrici di greggio. Ma un altro colpo di scena era in agguato: Pechino, invece di approfittare, aveva già tagliato i ponti (e gli acquisti) di greggio con Teheran. Ad ogni modo il problema di un eccesso di offerta tornava all'orizzonte complici sia Mosca che Washington, entrambe ai massimi della produzione e con la seconda che, altro imprevisto, aveva raggiunto addirittura l'autosufficienza energetica andando anche oltre. Recentemente, infatti, gli Usa hanno superato Russia e l'Arabia Saudita diventando il più grande produttore di petrolio al mondo per la prima volta dal 1973.
 

I numeri

L'Agenzia internazionale per l'energia prevede che la produzione a stelle e strisce registrerà +2 milioni di barili al giorno nel 2018, livello che potrebbe anche aumentare nel 2019. Troppo per una domanda che a livello globale rallenta ovunque secondo le proiezioni IEA. La condanna arriva ancora dai numeri, quelli resi noti stavolta dal Fondo Monetario Internazionale e riguardanti il PIL mondiale del 2019: il +2,9% del 2018 si tradurrà in un 2,5% l'anno prossimo.


Articolo a cura di R.P.

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