Nelle ultime due settimane il petrolio ha inanellato una serie di rialzi che hanno portato le quotazioni a superare i 50 dollari al barile, livello da dove sono state respinte nel corso della seduta di venerdì scorso.
Evidentemente il mercato sta ponendo fiducia nell’accordo di Algeri dei paesi Opec, secondo cui la produzione dovrebbe essere tagliata tra i 33 e i 32,5 milioni di barili al giorno.
Probabilmente si sottostima il fatto che i membri Opec in passato sono stati scarsamente rispettosi delle proprie quote di produzione e alla fine il ruolo di produttore cuscinetto è sempre toccato all’Arabia Saudita.
Nell’accordo di Algeri non mancano le incognite, visto che non si sa ancora chi taglierà la produzione e in quale la misura.
Ma se anche si arrivasse a un’applicazione disciplinata delle quote concordate è sufficiente osservare le stime Opec di offerta necessaria a bilanciare la domanda per comprendere che una produzione di 32,5 milioni di barili al giorno potrebbe risultare sovrabbondante sino a tutta la prima metà del 2017.
Ne consegue che l’accordo fra i paesi Opec sta dirigendo l’attenzione degli operatori sulla produzione giornaliera, ventilando il raggiungimento di un equilibrio, e al tempo stesso distrae dal vero nocciolo del problema: l’eccesso di scorte accumulatesi nel corso degli ultimi due anni al ritmo di oltre un milione di barili al giorno.
Se tutto ciò ha un senso, le quotazioni dovrebbero restare nell’ampia zona compresa tra 38 e 52 dollari e oscillare almeno sino al termine dell’anno; ma i mercati, si sa, vengono spesso sospinti dall’euforia, inoltre il petrolio, insieme all’oro, è una delle materie prime che meglio risponde all’analisi grafica.
L’osservazione di un grafico di lungo termine ci permette di individuare un testa e spalle rialzista, solo parzialmente invalidata da una sbavatura dei prezzi del 2015; la formazione potrebbe alimentare la vivacità degli operatori e spingere le quotazioni tra i 70 e gli 80 dollari.
Tuttavia non bisogna dimenticare che, a questo punto, l’estrazione di shale oil riprenderebbe a pieno ritmo, creando un eccesso di produzione difficilmente compensabile da una corrispondente riduzione dei membri Opec.
Se si osserva il numero di pozzi in funzione negli Stati Uniti, il loro numero è aumentato del 35% nel corso degli ultimi sei mesi; i nuovi impianti, inoltre, sono molto più efficienti di quelli del passato e giungono sino a 24 trivelle a sviluppo orizzontale per ogni pozzo di estrazione verticale.
Per concludere, lo scenario non presenta una facile interpretazione: l’euforia dei mercati potrebbe spingere ancora più in alto le quotazioni, mentre il buon senso degli operatori dovrebbe propendere per una stabilità dei prezzi.
A livello operativo è possibile sfruttare le ampie oscillazioni al rialzo e al ribasso in un’ottica di trading; meglio astenersi invece per gli investitori di medio-lungo termine.
Maurizio Mazziero
www.mazzieroresearch.com
Le informazioni contenute in questo sito non costituiscono consigli né offerte di servizi di investimento.
Leggi il Disclaimer »