Apple non è sola: la Cina è un problema per tutti

Rossana Prezioso Rossana Prezioso - 03/01/2019 11:48

Il caso Apple

La Apple, per voce del suo Ceo Tim Cook si aspetta un ultimo trimestre con ricavi nettamente in calo rispetto alle previsioni. Tradotto in numeri si parla di 84 miliardi di dollari invece dei 91,5 miliardi di dollari previsti. Un calo la cui eco si amplifica non solo perchè inferiore allo stesso periodo del 2017 (che portò alle casse della ditta di Cupertino 88,2 miliardi) ma anche, e soprattutto, perchè include il periodo natalizio. Non solo, ma oltre tutto i numeri comunicati da Cook e che rappresentano il 9% in meno di quanto atteso dagli analisti, non si presentavano da oltre 20 anni. A peggiorare il quadro ansiogeno anche il fatto che Apple è la seconda società per capitalizzazione al mondo dopo Microsoft. E la Cina la seconda potenza economica dopo gli Usa.

 

La Cina rallenta

Sul banco degli imputati una decelerazione dell'economia della Cina che, per quanto riguarda le vendite dei prodotti Apple, è arrivata al 100% nel giro di soli 12 mesi. Da sottolineare che la regione rappresenta il 15% delle entrate della Mela. Non solo, ma a rallentare è stata anche la quota di sostituzione dei vecchi modelli. Il fascino Apple non ha più mordente? Di certo c’è solo il fatto che Pechino arranca e il suo rallentamento potrebbe coinvolgere anche altre aziende. Il prodotto interno lordo del gigante asiatico ha raggiunto il suo minimo da oltre due decenni e i dati sul settore manifatturiero sono anche loro in fase di stasi. Tutto questo avviene mentre  la nazione sta vivendo una lunga trasformazione che ha portato il suo Pil ad essere sempre più dipendente dai consumi interni e dalla domanda di una borghesia nascente e intenzionata ad imitare gli standard occidentali. Partendo da questi presupposti sorge anche anche un’altra domanda: i consumatori cinesi, forse, non sarebbero più motivati nell’acquisto di un Apple, quando la nazione offre opportunità competitive e più economiche come Huawei e Xiaomi. Effettivamente Apple potrebbe aver fatto un passo falso mettendo sul mercato modelli similari a prezzi ritenuti forse troppo alti dai consumatori cinesi.

 

 Ma Apple non è sola

Un crollo dell'economia cinese arriverebbe a far crollare nomi come General Motors, Volkswagen e Starbucks. Solo per farne alcuni. La prima conferma potrebbe arrivare già nelle prossime settimane quando queste aziende pubblicheranno i propri resoconti trimestrali. Un esempio arriva dalla catena di caffetteria Starbucks percepita dal consumatore medio cinese come un brand di lusso. E il superfluo è la prima voce che i consumatori tagliano in caso di crisi economica.  Il problema è che l’azienda ha un ambizioso piano di espansione in Cina. Un piano che arriva proprio mentre Luckin Coffee, un concorrente locale, ha deciso di offrire gli stessi prodotti ma a minor prezzo. Lo stesso dicasi per Tesla che deve pagare la concorrenza di auto elettriche cinesi e più economiche. E lo schema si ripete in tutti i settori. Un vantaggio derivato dall’obbligo imposto dalle autorità cinesi alle compagnie occidentali, di creare una partnership con un’azienda locale e trasmettere ad essa tutte le conoscenze tecniche. La stessa cosa che il presidente Usa Donald Trump ha da tempo criticato a Pechino e che è stata una delle cause principali della guerra dei dazi.  

 

Cosa significa questo?

A questo punto è impossibile non pensare che il 2019, a prescindere dalla guerra commerciale, potrebbe essere un anno di grande difficoltà per i marchi occidentali che lavorano in Cina. E forse in tutto il continente asiatico dal momento che il gigante a sua volta, è fonte di ricchezza per le altre nazioni del sud est asiatico. Ovviamente un inasprirsi delle tensioni con Washington non potrebbe far altro che peggiorare la situazione. Da qui un aumento delle attese per il 1 marzo, quando le delegazioni statunitensi e cinesi, attualmente impegnate in una serie di colloqui per uscire dall’empasse, dovrebbero (il condizionale è d’obbligo) riuscire a giungere ad un accordo. 


Articolo a cura di Rossana Prezioso

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