Accordo Usa-Cina: occasione per vendere?

Rossana Prezioso Rossana Prezioso - 05/03/2019 17:38

Colloqui Usa-Cina: tanto ottimismo, pochi dettagli. Per giunta oscuri. Un mix micidiale che sui mercati sta favorendo una serie di alti e bassi. Una volatilità che si moltiplica anche con la paura di un accordo che, alla fine, potrebbe non essere così esaustivo come gli Usa speravano. 

Accordi su cosa?

Ormai il traguardo appare sempre più vicino e l’ottimismo sta aumentando in parallelo. Ma non nel settore azionario, predas sempre più spesso della volatilità.  In questo caso, infatti, la sensazione imperante è che le controparti al tavolo, per il momento, si limiteranno allo stretto indispensabile. Magari rimescolando un poco le carte e dando una mano di vernice su qualche particolare già noto. Il vero nodo gordiano, lo stesso che garantirebbe il vero salto di qualità per le azioni, sarebbero riforme strutturali sulla proprietà intellettuale e sui trasferimenti forzati di tecnologia. Ma la maggior parte degli osservatori sembra scettica sul possibile arrivo di un disegno di legge che comporterebbe numerose altre riforme al suo interno. Guardando oggettivamente la questione, indiscrezioni di stampa hanno parlato di un aumento di merci (soprattutto agricole) importate, da parte di Pechino, e un taglio delle tariffe doganali, da parte di Washington. Ma il Dragone se la può cavare solo con misure che nulla hanno a che fare con riforme del commercio, norme sulla proprietà intellettuale e leggi per l’imprenditoria straniera?
 

L’unica certezza

Al momento l’unica certezza è che le tariffe del 25% su 200 miliardi di dollari statunitensi non ci saranno. Ma sono state solo sospese. E la richiesta di Pechino di eliminare ogni dazio non sembra piacere molto a Washington che preferisce avere sempre un’arma a disposizione. C’è poi qualcos’altro che certezza non è ma che ha fortissime probabilità di verificarsi: un proseguimento dei colloqui. La data del primo marzo come deadline è stata cancellata e non ne è stata fissata una nuova, il che fa pensare che le delegazioni continueranno a parlarsi. E questo è già di per sé un fatto positivo. Ma anche in questo caso nessuna garanzia: le spine su argomenti ostici come proprietà intellettuale e trasferimento forzato di tecnologia restano una minaccia. Qualora la Cina non decidesse di prendere provvedimenti convincenti, almeno per la Casa Bianca, allora la punizione del protezionismo ritornerebbe. 


I particolari dell’intesa (ipotetica)

Inoltre Goldman ha evidenziato che l’intesa, sempre che venga effettivamente raggiunta, potrebbe svolgersi in tre fasi, in modo da permettere alle due nazioni di proseguire in parallelo un percorso di scadenze prefissate, man mano che i colloqui proseguiranno nel prossimo futuro. Altra notizia particolarmente indicativa: la possibilità da parte degli Usa di ripristinare le tariffe cancellate. Una sorta di assicurazione che, da sola, conferma la mancanza di certezze e la volontà di premunirsi contro sorprese spiacevoli ma, a questo punto, tutt’altro che remote. La stessa Goldman Sachs, inoltre, ha indicato che alcune tariffe potrebbero restare in vigore fino al 2020.
 

Rallentamento globale: colpa del protezionismo?

Il ciclo economico è in fase calante, a prescindere dalle misure protezionistiche adottate tra le parti. Il rallentamento globale ha intaccato anche la poderosa (e spesso squilibrata) crescita cinese, crescita che, in realtà, era in una fase di stanchezza ormai da qualche tempo. Tanto da portare i vertici politici a ricorrere a misure di stimolo estreme. Il sospetto è che la Cina, dopo aver combattuto il sistema delle banche ombra, debba essere costretta ad incoraggiare nuovamente prestiti di questo tipo per stimolare l’economia.

 

Economia cinese: stabilizzazione

La parola d’ordine tra i rappresentanti del Partito è: mettere a segno strategie per prevenire un ulteriore declino del tasso di crescita. Tra queste, anche prestiti con una minore supervisione regolamentare e rischi più elevati. Pechino, dunque, tra due fuochi. Da un lato quello rappresentato dalla necessità di trovare capitali per riavviare il settore privato, i consumi e investire nelle infrastrutture. Dall’altro la necessità, altrettanto impellente, di stabilizzare l’economia e restare (o rendersi?) credibile agli occhi della comunità finanziaria internazionale. Il tutto controllando le bolle che inevitabilmente si formeranno.
 

La forchetta sul Pil

Bolle che, stando alle previsioni di Morgan Stanley, questa volta dovrebbero (condizionale d’obbligo) essere gestite meglio di quanto fatto in passato. Durante l’ultima riunione del National People’s Congress i funzionari hanno spostato il focus dal taglio del debito alla stabilizzazione dell’economia; contemporaneamente il target sul Prodotto Interno Lordo 2019 è stato abbassato dal precedente 6,5% ad un target indefinito che va dal 6% al 6,5%. Una voragine. In tutto questo nemmeno Washington ha tanto tempo da perdere.
 

Uno sguardo a Washington

Dall’altra parte dell’oceano i dati macro ancora reggono. Il dubbio è: per quanto? l pavimento scricchiola e le domande iniziano ad insinuarsi. Se non altro perché alcuni elementi come la spinta data dalla riforma fiscale, si stanno esaurendo. A questo si aggiungano le prospettive di utili in calo per le prossime trimestrali. Unica soluzione: un accordo con la Cina. Il classico “prendere due piccioni con una fava”. In altre parole riavviare l’economia mondiale (si tratta delle prime due potenze) ed evitare la recessione. Ci sarebbe anche una terza. A stretto uso e consumo di Washington: un ottimo spot per la campagna elettorale di Trump. Ma un eventuale accordo tra le parti sarebbe veramente questa panacea che tanto si crede? Forse no.


Articolo a cura di Rossana Prezioso

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