Il mondo si appresta a puntare gli occhi sull’insediamento di Donald Trump. Per i prossimi quattro anni almeno, i mercati finanziari mondiali si concentreranno sulla sua presidenza. È quello che accade sempre quando un nuovo presidente prende le redini della prima potenza economica mondiale, ma perché sembra così importante stavolta?
Innanzitutto, è stato spezzato lo stallo politico. Per la prima volta dal 1928, i Repubblicani controllano la Casa Bianca, la Camera e il Senato, il che fa presagire un’evoluzione della politica di governo da graduale a radicale.
In secondo luogo, con un presidente senza alcuna esperienza politica siamo di fronte a un tipo di leader diverso da quello esistito storicamente nel sistema politico statunitense, che comporta una presidenza più imprevedibile rispetto alla tradizione.
Entrambi questi aspetti vengono dibattuti regolarmente dalla comunità degli analisti politici. Il concetto di cui mi occuperò qui è una terza dinamica potenziale che nasce dalle prime due.
La leadership ha una strana natura. In una democrazia, il leader è un funzionario pubblico nominato dall’elettorato, ma al contempo, ci si aspetta che dopo la nomina, il presidente utilizzi i poteri esecutivi che gli sono stati conferiti per governare. Il politico non di carriera abbinato al controllo totale uscito dalle urne implica che l’elettorato statunitense ha scelto un leader che governi e un sistema politico che gli consenta di tradurre in pratica le sue idee. E questo crea una situazione potenzialmente interessante.
Non conosciamo con precisione le misure che l’amministrazione Trump cercherà di realizzare e, quand’anche le conoscessimo, non potremmo calcolarne con esattezza gli effetti. Nel breve termine, sembra scontato uno spostamento a destra delle politiche economiche e sociali. Ma una cosa è chiara fin da subito: la leadership è tornata.
Le società e i mercati hanno attraversato una fase decennale di scarsa fiducia nelle figure guida a livello politico ed economico. Perché gli economisti sono stati colti di sorpresa dalla recessione? Perché i governi hanno lasciato che si sviluppassero le bolle degli asset? Dov’è la ripresa economica per le classi medie e basse? C’è grande scetticismo riguardo alla capacità di politici e banchieri centrali di assicurare una leadership economica efficace. Il nesso causa-effetto delle decisioni (come quella sul QE) non di rado viene percepito come confuso, nella migliore delle ipotesi, o irrilevante per il mondo reale nella peggiore. Il legame fra decisioni e conseguenze è diventato nebuloso. Con l’elezione di Donald Trump, non sarà più così:
– I mercati torneranno a concentrarsi sulla connessione fra decisioni politiche e azioni di mercato. Abbiamo già le prove di come il suo approccio diretto possa influenzare gli esiti economici, con l’esempio più evidente rappresentato dalla correlazione fra il suo ascendente e la debolezza del peso messicano. Lo stile del nuovo presidente è succinto e diretto e la linea politica sarà stabilita da un uomo non di molte, ma di poche parole.
– I rapporti causali fra l’amministrazione e i mercati torneranno ad essere molto evidenti, e lo si noterà a più livelli, dalle decisioni economiche di ampia portata alle stoccate mirate a società specifiche. Nel breve e nel lungo periodo, certe prese di posizione influenzeranno le economie e i mercati. Se siano politiche buone o cattive e chi favoriranno o penalizzeranno lo scopriremo solo col tempo. Quello che invece si vedrà nei prossimi mesi sarà il ripristino della mentalità di leadership politica ed economica sui mercati.
All’esordio della crisi finanziaria, si era parlato molto dello spirito imprenditoriale, additato come il fattore che aveva alimentato il boom del credito per poi trasformarsi, in seguito al collasso, nella causa della ripresa anemica. È probabile che ora vedremo tornare la fiducia nel governo statunitense, non necessariamente perché prenderà decisioni giuste, ma perché l’azione politica produrrà un risultato identificabile. Lo scetticismo politico è destinato a svanire man mano che si rimette a fuoco il legame fra le decisioni politiche e gli esiti economici e di mercato. Questo aspetto è stato assente nel periodo successivo alla crisi finanziaria.
Di fatto, una svolta nella fiducia è già in atto all’interno dell’economia statunitense. Il grafico di seguito mostra il balzo della fiducia delle piccole imprese, un settore di valenza cruciale ai fini degli investimenti, dell’occupazione e della crescita negli Stati Uniti. Questo recupero è il cambiamento più rilevante mai registrato. Le variazioni positive nella fiducia delle piccole imprese in passato hanno segnato la fine delle recessioni, spianando la strada a periodi di espansione economica negli USA.
Questa non è la prima volta che si verifica un cambiamento nelle aspettative di leadership. Ad esempio, nel suo discorso di insediamento, Franklin D. Roosvelt pronunciò la famosa frase: “L’unica cosa di cui avere paura è la paura stessa”. L’amministrazione Roosvelt si sarebbe poi imbarcata in un programma apertamente volto a instaurare un collegamento fra l’azione di governo e i risultati economici.
Contrariamente a quei giorni bui, l’economia statunitense oggi per fortuna è vicina alla piena occupazione. La riscoperta della fede nella leadership si estenderà al resto della nuova amministrazione per poi affiorare anche nel comportamento dei leader delle società nel settore privato. E questo dovrebbe favorire lo spirito imprenditoriale, la fiducia dei consumatori e l’economia. Sui mercati degli asset, comporterà una minore esigenza di politiche monetarie espansive, mentre gli investimenti societari nelle attività esistenti e in fusioni e acquisizioni probabilmente aumenteranno. La leadership è tornata: si prenderanno decisioni e speriamo che siano quelle giuste.
Articolo a cura di Richard Woolnough, M&G Investments
Fonte: www.finanzaoperativa.com
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