Petrolio vs riserve strategiche Usa

Finanza Operativa Finanza Operativa - 28/06/2018 17:16

Il comparto del petrolio continua ad essere caratterizzato da fattori legati soprattutto alla carenza di offerta, in seguito alla riduzione della produzione da parte di importanti Paesi come Venezuela, Libia, Canada ed in prospettiva Iran, in seguito alle minacciate sanzioni USA che partiranno dal 4 novembre verso tutti i paesi che acquisteranno petrolio iraniano.

A surriscaldare il clima già rovente, anche le indicazioni dal fronte interno USA, dove da tre settimane sta andando in onda un forte decumulo delle scorte a fronte di produzione totale ferma a 10,9Mln b/d. Gli Usa nel frattempo hanno incrementato la percentuale di petrolio esportato, arrivata al record di circa il 27% sul totale.
 

In questo caso il problema è legato alle difficoltà tecniche di trasporto dello shale oil via oleodotti. Il problema potrebbe rientrare nel corso del 2019, quando è prevista l’ultimazione di un importante oleodotto negli USA.

Nel frattempo, prevalgono le tensioni di breve termine legate alle problematiche prima indicate al punto da comportare un’accentuazione della cosiddetta backwardation, ossia prezzi spot molto più alti di quelli a termine nel caso del petrolio WTI.
 

In prospettiva, per i prossimi trimestri, il trend potrebbe rimanere al rialzo, stante il continuo incremento della domanda dalla Cina (primo consumatore al mondo con circa 11 Mln b/d), al fine soprattutto di incrementare le scorte strategiche di petrolio per presentarsi al mondo fra un paio d’anni (probabilmente il 2021, anno del centenario della fondazione del partito comunista) come il paese con il più forte esercito, come delineato dal presidente Xi nel piano pluriennale annunciato lo scorso ottobre.

Nel frattempo, nel breve termine, non è esclusa la possibilità di un calo temporaneo del prezzo del petrolio, che potrebbe rientrare dagli eccessi di questi giorni segnalati in particolare dall’elevato livello (storicamente parlando) di backwardation prima segnalato.
 

Inoltre, dopo le indiscrezioni di un possibile forte incremento della produzione araba a luglio che arriverebbe al record di 10,8 Mln b/d, si potrebbe aggiungere anche la Russia in tale direzione. Forse non a caso, in questi giorni è stato preannunciato un possibile incontro a metà luglio tra Trump e Putin, che potrebbe contemplare anche tale ipotesi, a fronte semmai di sanzioni in forma più alleviata verso la Russia.

Inoltre, gli Usa potrebbero procedere alla messa in vendita di parte delle riserve strategiche, attualmente pari a 665 Mln di barili. In passato gli Usa hanno talvolta fatto ricorso a manovre di questo tipo, ad esempio nel 2017 dopo il passaggio dell’uragano Harvey che aveva temporaneamente bloccato alcuni siti produttivi.  Ad inizio anno gli USA hanno iniziato a vendere piccole quantità delle riserve anche per finanziare le esigenze del governo.
 

In estrema sintesi nel mese di luglio si potrebbe assistere ad un incremento dell’offerta rispetto a quanto ora percepito dagli operatori, con la finalità di consentire un calo del prezzo del petrolio (soprattutto WTI) e quindi anche del prezzo domestico della benzina su livelli ben inferiori ai circa 3 $/gallone raggiunti recentemente, durante l’importante fase della driving season che terminerà ad inizio settembre.


Articolo a cura di Antonio Cesarano, Chief Global Strategist, Intermonte Sim
Fonte: www.finanzaoperativa.com
 

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