Nell’ultimo anno la produzione di petrolio è diminuita di circa un milione di barili al giorno. Tale flessione, combinata con importanti distorsioni di domanda e offerta in varie aree geografiche su scala globale, ha nei fatti riportato il mercato del petrolio in equilibrio prima di quanto ci aspettassimo. In Iran, l’incremento della produzione è avvenuto ad un ritmo più rapido rispetto alle previsioni di molti attori del mercato ma, tuttavia, negli ultimi due mesi la spinta ha rallentato entrando in una fase di stallo. Nel corso dei prossimi due mesi, mentre dal nostro punto di vista ci attendiamo un contesto di crescita, è probabile che si paleserà in maniera più graduale a causa di limiti infrastrutturali.
Nel frattempo la domanda di petrolio è in crescita a livello globale, in special modo per quanto riguarda i Mercati Emergenti: le importazioni cinesi hanno toccato livelli record ed anche la domanda indiana ha sorpreso al rialzo nel primo trimestre dell’anno. Ad oggi l’India conta per il 25% della crescita della domanda globale, avendo di fatto superato la Cina come il principale contributore alla crescita. La crescita della domanda indiana ha ancora spazio per crescere, soprattutto grazie alla popolazione numerosissima e alla scarsa diffusione delle automobili, solo un quinto rispetto alla Cina.
Guardando ai prossimi 6-9 mesi riteniamo che il mercato del petrolio sarà in una condizione di equilibrio al netto di qualche fluttuazione stagionale. Riteniamo anche che la produzione statunitense continuerà a calare fino alla fine del 2016, di pari passo alla diminuzione della produzione in Paesi come Venezuela, Messico, Colombia, Cina e Nigeria. Dal nostro punto di vista, riteniamo che il focus del mercato si sposterà presto a quanto accadrà il prossimo anno, nel quale ci aspettiamo un deficit dal lato dell’offerta. L’anno prossimo prevediamo che la produzione statunitense inizierà a crescere di nuovo in maniera moderata, ma anche che le conseguenze dei tagli agli investimenti nel settore cominceranno ad avere effetti anche sul resto del mondo.
E’ probabile che la quota di produzione convenzionale diminuirà nel 2017, soprattutto per la diminuzione del numero di impianti di trivellazione in funzione. Le principali società petrolifere, i produttori indipendenti e le società statali sono sotto pressione per i tagli agli investimenti. Immaginiamo inoltre che difficilmente l’attività al di fuori degli Stati Uniti potrà recuperare prima del 2018 e questo è un elemento importante perché si tende a prestare soprattutto attenzione alle decisioni di Stati Uniti e Opec in termini di produzione, mentre, nei fatti, il 50% della produzione di greggio arriva da contesti differenti. Di conseguenza ci aspettiamo che i prezzi si dirigano verso i 55 dollari al barile per la fine dell’anno, arrivando in area 60 dollari al barile nel 2017. Crediamo dunque che il mercato non si trovi a fronteggiare una ripresa di breve durata: l’impatto dei tagli degli investimenti saranno percepiti negli anni a venire.
Articolo a cura di Roberto Cominotto, gestore del fondo Julius Baer Multistock – Energy Fund di GAM
Fonte: www.finanzaoperativa.com
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