“I rendimenti negativi delle obbligazioni tedesche a lunga scadenza non appaiono sensati, al pari di rendimenti italiani inferiori agli omologhi statunitensi“, afferma Yves Longchamp, Head of Research diEthenea Independent Investors (Schweiz), che spiega: “Dato che un programma di Quantitative Easing (QE) consiste nell’acquistare consistenti volumi di attività indipendentemente dal prezzo, i prezzi perdono quel prezioso contenuto informativo che consente agli investitori di operare valutazioni significative tra le diverse asset class”.
Peraltro – prosegue l’economista – il fattore che accomuna i piani di QE delle diverse banche centrali è che gli acquisti si concentrano perlopiù sui Titoli di Stato, i cui rendimenti costituiscono la base per la valutazione di tutte le attività: di conseguenza, la distorsione in questo specifico mercato, acuita dalle politiche di tassi d’interesse negativi, si ripercuote su altri asset, dando luogo a quotazioni inadeguate per tutte le attività finanziarie. Il valore di mercato delle obbligazioni con rendimenti negativi è pari a 13,4 trilioni di dollari secondo ilFinancial Times, un dato impressionante che dimostra l’entità della distorsione dei prezzi in questo importante segmento.
Indipendentemente dal grado di distorsione di ogni singolo prezzo di mercato, le quotazioni delle attività mantengono tuttavia prezzi costanti le une rispetto alle altre. Nel caso dei Treasury statunitensi e dei Bund tedeschi ad esempio, due asset che presentano caratteristiche di rischio molto simili agli occhi degli investitori, i rendimenti sono affini (considerati i costi di copertura valutaria), nonostante le diverse condizioni economiche e i differenti approcci degli istituti di emissione.
Quanto durerà questo scenario? Tre potenziali sintomi potrebbero indicare che questa situazione è nella sua fase conclusiva. In primo luogo, la credibilità delle banche centrali e dei governi vengono messi direttamente in discussione, il che determina rendimenti dei Titoli di Stato in aumento e divergenti con un conseguente adeguamento del rischio. In secondo luogo, il mercato valutario assorbe parte delle valutazioni inadeguate ribilanciando le economie e i mercati attraverso aggiustamenti significativi dei tassi di cambio. Infine, la perdita di credibilità si riflette in maniera diretta nella perdita di potere d’acquisto a livello interno, ovvero, in altre parole, nell’inflazione. Va notato che questo tipo di inflazione non è dovuto all’usuale troppo denaro alla ricerca di una quantità insufficiente di beni, bensì a una mancanza di fiducia nel governo che produce potenzialmente un’iperinflazione, come ci rammentano eventi estremi quali quelli verificatisi in Germania negli anni Venti del secolo scorso, in Ungheria nel 1946 e più di recente nello Zimbabwe alla fine degli anni Duemila.
“Oggi non ravvisiamo l’insorgere di alcuno di tali sintomi”, prosegue Longchamp. “Anzi, il caso Giappone insegna che una situazione in cui la crescita, l’inflazione e i rendimenti sono bassi può perdurare per oltre due decenni, senza tuttavia innescare una vera e propria crisi. Chi non crede a una giapponizzazione dei mercati finanziari e delle economie occidentali può proteggersi investendo nell’oro, un’alternativa alla liquidità il cui costo è aumentato considerevolmente con l’introduzione dei tassi negativi e che non è sotto il controllo diretto delle istituzioni”.
Fonte: www.finanzaoperativa.com
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