Gli investitori hanno imparato a loro spese che non sarà un’estate tranquilla per i mercati finanziari. Dalla vittoria del Leave nel Regno Unito, i rischi sono aumentati considerevolmente. L’economia globale è di nuovo di fronte a segnali d’allarme. L’indice PMI rivela che quello che si è appena concluso è stato il peggior trimestre dal 2012, che stanno emergendo i primi segni di recessione nel Regno Unito e, inoltre, che il rischio geopolitico continua a crescere, soprattutto in Europa. Potrebbe essere il principale driver dei mercati finanziari e dell’economia globale nei prossimi mesi.
Il principale paradosso di questo momento è rappresentato dal fatto che i rischi non sono mai stati così tanti per un lungo periodo di tempo ma, nonostante tutto, gli investitori sembrano essere abbastanza fiduciosiper il futuro. Il Macro Risk Index di Citi è attualmente pari al 2,24: ciò significa che gli investitori sono piuttosto rilassati. Il disallineamento tra il punto di vista del mercato e la situazione economica non può durare ancora troppo a lungo. Ci sarà presto un brusco ritorno alla realtà.
Gli occhi, in questo mese, saranno puntati sulle banche centrali. La Bank of England ha tagliato i tassi e si è in attesa di una decisione simile anche da parte della Banca centrale turca. Inoltre, come ogni anno, l’attenzione principale degli investitori sarà rivolta al Jackson Hole Economic Policy Symposium che si terrà in Wyoming dal 25 al 27 agosto. Il tema di quest’anno è “Progettare framework flessibili per la politica monetaria del futuro”. Il discorso di Janet Yellen sarà di grande interesse per gli investitori in cerca di indizi sull’evoluzione della politica monetaria americana e, soprattutto, sul possibile effetto dell’incontro del meeting di settembre della Fed che con ogni probabilità rappresenterà la migliore opportunità per il rialzo dei tassi negli Stati Uniti quest’anno.
Panoramica globale: L’aumento del rischio politico. I rischi sono in aumento ma, nonostante tutto, gli investitori sembrano essere abbastanza fiduciosi per il futuro. Il Macro Risk Index di Citi, basato su alcuni indicatori che misurano l’avversione al rischio è attualmente pari al 2,24%: ciò significa che gli investitori non hanno alcuna preoccupazione per il futuro. Ritroviamo lo stesso ottimismo nel caso dei mercati emergenti: l’Emerging Market FX Risk Index di Barclays ha recentemente toccato il suo punto più basso dall’inizio dell’anno. Il rischio è chiaramente mal ponderato dagli investitori. Il disallineamento tra il punto di vista del mercato e la situazione economica non può durare ancora troppo a lungo. Il ritorno alla realtà non sarà semplice.
Uno dei possibili fattori scatenanti potrebbe essere un aumento significativo del rischio politico nelle prossime settimane. Tra il 26 settembre e l’8 novembre, in Europa e negli Stati Uniti, si terranno sei elezioni chiave e referendum. Quello che avrà luogo in Italia potrebbe portare alle dimissioni di Renzi e quindi scrivere una nuova pagina di instabilità politica nel momento peggiore, dato che i problemi del settore bancario non sono ancora stati risolti.
Inoltre, il referendum sulle quote di immigrazione in Ungheria potrebbe confermare l’inesorabile diffusione del populismo in Europa e costituire una nuova battuta d’arresto per l’Unione Europea, pochi mesi dopo la Brexit. Questi eventi hanno un peso marginale se presi singolarmente, ma è l’accumulo dei rischi in un breve periodo di tempo che potrebbe avere un effetto negativo sui mercati finanziari ed aumentare la crisi di fiducia dell’Europa. A partire da settembre, gli investitori non avranno nemmeno il tempo di respirare. Il rischio politico è una questione prioritaria.
Guardando il lato positivo della situazione, le banche centrali hanno ancora molti strumenti a disposizione per calmare il mercato nel breve e nel medio periodo. Inoltre, il loro comportamento è stato senza dubbio decisivo per evitare il panico post esito del voto Brexit. Ciononostante, l’onnipotenza della banca centrale è in declino e la gestione centrale del rischio potrebbe essere molto maggiore nei prossimi mesi rispetto al passato, con meno mezzi a disposizione e i governi principali, come gli Stati Uniti, bloccati dalle elezioni.
Il più recente report annuale BIS è stato molto chiaro: abbiamo raggiunti i limiti della politica delle banche centrali a causa dei rendimenti decrescenti e del maggiore rischio di bolle speculative. Sebbene ci siano stati più di 660 tagli dei tassi dopo il fallimento di Lehman Brothers, la crescita è ancora scarsa. I banchieri centrali non hanno un’idea precisa di come muoversi ma questo non desta grandi preoccupazioni.
Gli investitori, durante questo mese, presteranno molta attenzione al discorso di Janet Yellen durante il Jackson Hole Economic Policy Symposium che si terrà in Wyoming dal 25 al 27 agosto. Tuttavia, non devono nutrire grandi aspettative. Non verranno diffuse informazioni precise sul prossimo aumento dei tassi. Il mercato del lavoro e la spesa dei consumatori stanno seguendo un trend positivo, ma il PIL sta mostrando segni di debolezza. Il PIL del secondo trimestre è stato molto inferiore alle aspettative (1,2% rispetto a 2,5%) e quello del primo è stato rivisto verso il basso (0,8% rispetto all’1,1% delle prime stime). Dal mio punto di vista, la migliore opportunità per il rialzo dei tassi quest’anno avrà luogo in settembre ma, al momento, la decisione finale del FOMC è al 50/50 e dipenderà in larga parte dai dati economici raccolti in luglio e agosto. È troppo presto per fare previsioni sull’incontro della Fed di settembre.
Europa occidentale: “È colpa della Brexit”. In Europa, la traiettoria della crescita economica rimane incerta. Sarebbe molto facile individuare nella Brexit la causa del rallentamento. Tuttavia, questo processo è iniziato in realtà all’inizio del 2016. Europa e Stati Uniti sono quasi giunti al termine del ciclo economico.
Nel Regno Unito, l’indice Pmi sulle costruzioni, che è un buon indicatore dell’andamento del PIL, è contratto da diversi mesi, a conferma del fatto che l’economia UK avrebbe rallentato anche se il Paese avesse votato per il Remain. Il risultato del referendum ne ha solo accelerato il processo. Alcune analisi rivelano che il Regno Unito riceverà un duro contraccolpo nel breve periodo. Gli indici PMI indicano una possibile contrazione dell’economia UK, la più grande dal 2009, mentre il CBI business optimism lo scorso luglio è sceso a -47 dal -5 del mese precedente, toccando il valore più basso dal 2009.
La recessione è ormai una realtà, così come predetto dalla Bank of England. Tuttavia, in un’ottica di lungo periodo, prevale l’ottimismo. L’unico paese in grado di affrontare le sfide poste dall’uscita dall’Unione Europea è proprio il Regno Unito. Per quanto riguarda l’EU, l’impatto è ancora difficile da prevedere. Il consensus Bloomberg stima che la Brexit potrebbe comportare la diminuzione del PIL dell’area euro di 0,1 punti percentuali nel 2016 e di 0,3 punti percentuali nel 2017. Queste stime devono essere prese con cautela per le numerose incertezze legate ai cambiamenti politici in atto.
L’altra preoccupazione dell’EU riguarda lo stato di salute del sistema bancario italiano, che è in una fase di deterioramento ormai da diversi anni. I non performing loan, rispetto al totale dei prestiti, rappresentano l’1,5% nel Regno Unito, il 5% in Francia e il 18% in Italia. In totale, nel settore bancario italiano, sono pari a 400 miliardi di euro, il 20% del PIL. Tuttavia, solo il 10% di questo valore rappresenta un vero e proprio rischio nell’immediato. È un dato critico, ma non un problema irrisolvibile. Ciò che manca è la volontà politica di intervenire. Infatti, le banche italiane rappresentano solo uno dei problemi del paese e l’attenzione posta su di esse ne nasconde altri, tra i quali il principale è la mancanza di crescita economica, nonostante le riforme messe in atto da Renzi, in particolare per il mercato del lavoro. A prezzi costanti, il PIL italiano non cresce da 15 anni. 15 anni senza crescita! I problemi del settore bancario verranno risolti ma riemergeranno prima o poi se il paese non riesce a creare una crescita sostenibile.
Europa centro-orientale – Russia: La Polonia è ancora sulla strada giusta…per il momento. Non è tutto negativo in Europa. I dati pubblicati lo scorso luglio hanno confermato che per la Polonia la crescita economica deludente del primo trimestre del 2016 è stata solo un incidente di percorso. La situazione economica rimane senza dubbio positiva, guidata dal miglioramento delle finanze esterne e da robusti fondamentali economici.In giugno la diminuzione del tasso di disoccupazione da 9,1% a 8,8% riflette in parte un aggiustamento stagionale che è del tutto normale in questo periodo dell’anno, ma anche un trend di lungo periodo partito nel 2002. Dal 2007 il tasso di disoccupazione in Polonia è sceso sotto la sua media di 11,4%. È chiaramente un segnale di miglioramento del mercato del lavoro, che proseguirà nei prossimi anni.
I consumi privati rimangono un fattore chiave per la crescita economica; la fiducia dei consumatori tocca di nuovo i valori massimi raggiunti nel 2007. L’unico aspetto negativo dell’economia riguarda la fiducia delle imprese, che si è ridotta in modo significativo a partire dal primo trimestre del 2014, portandosi ben al di sotto dei livelli pre-crisi. Questo si traduce in una generale debolezza degli investimenti privati. È un problema da non sottovalutare, poiché potrebbe porre dei limiti alla crescita di lungo periodo e risultare in un capitale inferiore da destinare alla Ricerca e Sviluppo. Questo comporta che la Polonia rimanga un’economia basata principalmente sull’imitazione e non sull’innovazione. Ad ogni modo, per il 2016 le prospettive economiche della Polonia sono molto brillanti: la crescita annuale potrebbe toccare il 3,2%, un dato eccellente rispetto agli altri paesi dell’EU.
Medio Oriente: la confusione che regna in Turchia. In seguito al colpo di stato militare, S&P ha declassato la valutazione della Turchia da BB+ a BB con outlook negativo. Con ogni probabilità il 19 agosto, Fitch confermerà questo rating della Turchia. Negli ultimi anni, le decisioni delle società di rating non hanno avuto un impatto significativo sugli sviluppi economici e finanziari della maggior parte dei Paesi. Tuttavia, questo non è il caso della Turchia, che dipende largamente dai finanziamenti esteri, a causa delle basse risorse estere, basso risparmio interno e, soprattutto, debito estero in crescita.
Dalla presa del potere dell’AKP nel 2002, il debito estero è cresciuto del 120%. L’instabilità politica porterà con sé almeno quattro conseguenze finanziarie principali per il paese: 1) Per le imprese turche, i costi per i finanziamenti in valute diverse dalla lira aumenteranno in misura significativa, a causa della sua svalutazione nei confronti del dollaro americano. Ciò potrebbe ridurre gli investimenti privati e accentuare il rischio di credito della banca; 2) La redditività delle banche, che è diminuita quasi del 55% da dicembre 2007 a dicembre 2015, continuerà probabilmente a farlo, sollevando domande relative all’accesso alla liquidità; 3) la recente forte ripresa dell’afflusso di capitali stranieri potrebbe facilmente subire un’inversione di marcia, alimentando le preoccupazioni del mercato; 4) Le riforme che erano state promesse con l’obiettivo di ridurre la dipendenza dai finanziamenti esteri sono state posticipare indefinitamente. La crescita del PIL rimane al di sopra della media di lungo periodo, ma i rischi di una diminuzione sono aumentati considerevolmente.
Il rallentamento della crescita è inevitabile e potrebbe mettere una pressione maggiore nei confronti della banca centrale, la cui indipendenza rappresenta già un punto interrogativo, per allentare ancora di più la politica economica nel prossimo meeting del 23 agosto.
Articolo a cura di Christopher Dembik, Head of Macro Analysis di Saxo Bank
Fonte: www.finanzaoperativa.com
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