Oscillazioni record per i mercati e volatilità alle stelle. La holding di Warren Buffett aveva annunciato un’acquisizione record prima di Ferragosto e dopo 2 settimane ha già virtualmente perso in Borsa il doppio del valore: oltre 60 miliardi di dollari. Dalla Cina si è accesa la miccia ma sarà l’andamento del listino azionario americano da qui a inizio a settembre a determinare il trend futuro. Il mercato azionario nord americano sta tornando a essere il faro per comprendere la possibile evoluzione dei mercati soprattutto europei (Italia compresa) – poichè l’andamento del mercato finanziario cinese sarà sicuramente importante – ma se si guarda alla composizione dell’indice azionario mondiale più rappresentativo sono gli Stati Uniti a determinarne in modo veramente significativo l’andamento.
E proprio l’indice azionario americano resta il più importante da monitorare poichè una sua inversione come quella che si sta delineando nell’ultima settimana, se confermata, senza una reazione entro la fine di questo mese e il riavvicinarsi in modo convincente sopra quota 2000 dell’indice S&P500, potrebbe confermare una fase dalla durata imprevedibile di “risk off” per i mercati azionari ovvero, statisticamente parlando, una fase orso per i mercati.
In queste ultime settimane a Wall Street il comportamento di diverse asset class ha alzato significativamente le probabilità di uno scenario ribassista per i mercati come ad esempio il comportamento dell’indicatore rialzi/ribassi su questo mercato e l’andamento positivo di alcune asset class tipicamente considerate “rifugio” come il settore delle utility, l’obbligazionario a lunghissimo termine e perfino i metalli preziosi. E l’andamento in queste sedute di Wall Street con continui cambi di fronte e volatilità alle stelle come non si vedeva da molti anni conferma come la lotta fra orsi e tori trova soprattutto in questo mercato l’arena più importante e decisiva.
Sarà perciò molto importante seguire l’andamento dei prossimi giorni e se l’indice S&P 500 riuscirà a tornare sui livelli sopra quota 2000-2030 mentre sullo sfondo la Fed potrebbe nuovamente valutare se intervenire e anche la BCE potrebbe valutare di lanciare nuove iniziative. Ma la Banca Centrale statunitense si trova (come molte banche centrali) in una situazione non proprio idilliaca. Se fino a poche settimane la mossa attesa era quella di un rialzo dei tassi americani ora lo scenario sembra profondamente cambiato. E va ricordato che nel bilancio della Federal Reserve si è passati dai 750 miliardi di dollari di titoli detenuti al 17 settembre 2008, dopo il collasso di Lehman Brothers, agli oltre 4.200 miliardi di titoli che detiene ora, di cui 2.460 in titoli di stato USA e il resto in obbligazioni private.
Un ammontare non trascurabile e pari quasi un quinto del Pil Usa. Tutti titoli che la Banca Centrale Usa ha acquistato per sostenere il rilancio dell’economia e dei mercati tramite la Zero Interest Rate Policy (ZIRP, o politica monetaria di tassi prossimi allo zero) e i tre round di Quantitative easing (Qe, o allentamento quantitativo) e che a vedere quello che è successo a Wall Street e in Main Street (l’economia reale) hanno sicuramente aiutato ma creato anche una situazione anomala e certo più difficile da governare rispetto al passato che spiega anche perchè i mercati mostrano una volatilità sempre più ampia. Più i banchieri centrali intervengono maggiori sono le possibili distorsioni sui mercati che si possono sommare ed esplodere se poi non governate adeguatamente. Una politica monetaria espansiva che poi è stata “copiata” dalla Bank of Japan e dalla Bce di Mario Draghi e ora sembra essere la nuova frontiera della People’s Bank of China col taglio operato ieri da parte della PBoC dei tassi di interesse e del coefficiente di riserva obbligatoria per le banche.
E’ difficile immaginare fino a che punto potranno agire le banche centrali di tutto il mondo per cercare di governare i mercati e condizionarne le economie. Le prossime settimane saranno probabilmente cruciali sia per le eventuali nuove mosse della FED sia per i dati economici che dovranno confermare che il “malessere” dei mercati finanziari non si sia già trasferito all’economia reale. Intanto dai massimi di marzo 2015 il mercato azionario americano è arrivato a perdere in poche settimane un massimo del -15% e suona beffardo che la più grande operazione di acquisizione mai compiuta dal Paperone considerato più abile del pianeta, Warren Buffett, sia avvenuta propria alla vigilia del crollo di Wall Street.
Il 10 agosto infatti il Saggio di Omaha nonchè considerato il guru per eccellenza di Wall Street tramite la sua holding Berkshire Hathaway lanciava, infatti, un’offerta per la conglomerata Precision Castpart per circa 32 miliardi di dollari a 235 dollari per azione. Dopo 2 settimane dall’annuncio per effetto della discesa del mercato azionario americano la sua holding Berkshire Hathaway (di cui sono quotate 2 tipi di azione) è arrivata complessivamente a perdere oltre 63 miliardi di dollari di capitalizzazione borsistica, oltre il 10% del valore. Quasi 2 volte il valore della transazione record che aveva annunciato prima di Ferragosto. Anche i ricchi piangono.
A cura di Salvatore Gaziano, Direttore Investimenti di SoldiExpert
Fonte: www.finanzaoperativa.com
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