Brexit
Dice un comune adagio che se fate una domanda a due economisti, riceverete tre risposte differenti. Un luogo comune che potrebbe estendersi anche alla politica in questi ultimi tempi dopo 740 giorni, infinite riunioni parlamentari e votazioni rilevanti, da cui emerge che nel Regno Unito sanno indubbiamente cosa non vogliono (non vogliono rimanere nell’Europa, non vogliono accettare il compromesso offerto) da Bruxelles non vogliono una hard-Brexit, non vogliono perdere l’Irlanda, non vogliono un nuovo referendum, non vogliono più la May al governo….) ma su quello che realmente vogliono, beh, c’è il caos più totale.
L’ultimo capitolo di questa apparentemente interminabile saga riserva il colpo di scena di una inedita, possibile ma non scontata, alleanza trasversale tra il Governo ed i labouristi all’opposizione, cosa che certo non aumenterà la popolarità del Primo Ministro all’interno del suo partito che annovera parecchi conservatori fautori della linea dura sulla Brexit.
In questo clima di incertezza la sterlina sembra essere il miglior barometro della situazione
La divisa britannica parrebbe indicare come almeno al momento, i mercati siano fiduciosi su un accordo soft, possibilmente attraverso una nuova, e questa volta più estesa, dilazione dei termini ultimi stabiliti per la secessione albionica.
I mercati azionari sembrano immuni alla situazione oltremanica
E ancora ieri proseguono la loro parabola rialzista (sebbene meno uniformemente rispetto ai giorni passati), con solidi rialzi nel comparto europeo coadiuvati da un dato finalmente ben augurante emanato dalle rilevazioni sul settore servizi accompagnato da vendite al dettaglio su base europea al di sopra delle attese (0,4% contro 0,2% atteso).
Entusiasmo forse destinato a breve durata in quanto già questa mattina gli ordini alle fabbriche tedesche mostrano a febbraio il calo più pronunciato da due anni a questa parte andando a consolidare le proiezioni che stimano una crescita del PIL teutonico decisamente abulica nel 2019 e nell’ordine dello 0,8%; a complicare il tema, l’impasse (per veto francese) nell’avviare i colloqui commerciali con gli USA che a quanto pare, ormai sulla linea di traguardo con la controparte cinese, potrebbero adesso concentrare con più zelo le loro indesiderate attenzioni sul Vecchio Continente.
In USA ne la doppia rilevazione sul settore servizi, questa volta a ruoli invertiti rispetto alla precedente sul manifatturiero (l’ISM segna un dato inferiore alle attese, il Markit invece indica un miglioramento) ne un indice ADP sull’occupazione del settore privato che si rivela il più debole dal settembre 2017 appesantito dalla contrazione del settore manifatturiero e costruzioni, riescono a scalfire la voglia di riscossa degli indici azionari, con lo S&P500 che va a chiudere in territorio positivo per il quinto giorno consecutivo, migliore serie da due mesi a questa parte.
Nell’ambito delle materie prime i preziosi, tra cui l’oro tra tutti, mancano clamorosamente di recepire le incertezze geopolitiche di queste ultime giornate, limitandosi a galleggiare in un limbo pressochè dimenticati dalla maggior parte del mercato; il petrolio dal canto suo si limita a prendere una pausa di riflessione dopo i consistenti rialzi dei giorni passati, ma nulla più malgrado l’eclatante dato sulle scorte americane pubblicato ieri che con un incremento pari a 7,24 milioni di barili rappresenta l’afflusso più corposo in dieci settimane.
Articolo a cura di Wings Partners Sim
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