Azioni e bond: ritorno alla media?

Finanza Operativa Finanza Operativa - 23/12/2015 14:20

L’aspetto principale da tenere d’occhio nel 2016? Più o meno lo stesso del 2015 e dei due o tre anni precedenti: che succede al premio al rischio azionario?

Il premio al rischio azionario è il rendimento offerto agli investitori perché detengano azioni anziché un asset “esente da rischi”. Con i tassi d’interesse e i rendimenti obbligazionari oggi molto bassi, questo premio risulta decisamente elevato in gran parte del mondo occidentale.

 

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Nell’ambiente della finanza esiste una tendenza naturale a presumere il ritorno verso la media. Quando il breve termine sembra diverso da come te lo aspetti, istintivamente pensi che sia una situazione momentanea (chiedete ai tifosi del Chelsea).

Per questo, quando guardiamo il grafico in alto, la tendenza della maggior parte di noi sarà credere che lo scarto sia destinato ad azzerarsi, altrimenti i mercati azionari stanno offrendo un “pasto gratis”.

Tuttavia, oggi il dibattito su questo argomento rivela incongruenze e pregiudizi evidenti nel nostro pensiero.

I rendimenti obbligazionari puntano al rialzo?

La reazione istintiva di fronte al grafico 1 potrebbe essere dare per scontato che i tassi a pronti debbano aumentare. Dopo tutto, è facile vedere la politica monetaria ultra-espansiva come la causa del premio al rischio più ampio e credere che sia questa l’anomalia da correggere.

In base a diversi confronti che ho avuto, e con la conferma dei rendimenti delle obbligazioni a più lungo termine, c’è un’implicita convinzione fra noi che un “ritorno alla normalità” sia giusto dietro l’angolo. Per molti la normalità vuol dire un ritorno ai rendimenti obbligazionari di metà anni 2000 e metà anni 1990 (o meglio, al loro ricordo di quel periodo).

Eppure, a prescindere dal rialzo dei tassi statunitensi della settimana scorsa, quasi nessuno sembra in grado di spiegare come si arriverà ad aumenti dei tassi così significativi. Molti di noi oggi fanno fatica a concepire un mondo caratterizzato da livelli di crescita o di inflazione nettamente più elevati.

Per giunta, come ho accennato in un post pubblicato quest’anno, tanti investitori sono chiaramente stanchi del dibattito che ruota intorno alle obbligazioni. Sembra che ci sia una fede inconscia nel ritorno alla normalità, accompagnata però da una volontà sempre minore a spiegare come e perché si verificherà.

L’esperienza di scommettere sul ritorno alla media dei rendimenti obbligazionari è stata estremamente dolorosa, in molti casi. Nella storia recente, uno dei fattori predittivi più affidabili dei rendimenti obbligazionari statunitensi è stato il prosieguo della tendenza: perché ora le cose dovrebbero cambiare?

 

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E poi, quale nozione di normalità è rilevante? Forse siamo già tornati alla norma vigente prima degli anni Sessanta.

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Valutazioni azionarie: in movimento verso la media più di quelle delle obbligazioni?

Nei mercati azionari l’inversione è quasi evidente. Gli investitori sembrano sempre più convinti di un ritorno alla “normalità”. Nessuno di noi ha difficoltà a immaginare un calo del premio di rischio azionario per via delle attuali previsioni di utile incorporate nelle valutazioni che si rivelano eccessivamente ottimistiche (ossia, la nostra esperienza della crisi finanziaria).

Ci sono motivi molto concreti e comprovati per cui ciò rappresenta un rischio, ma bisogna stare attenti a credere che “debba” succedere semplicemente perché le valutazioni sono al di sopra di una qualche media di lungo periodo.

Non finiamo di stupirci di come gli investitori possano cadere nella trappola di definire i mercati azionari “scontati” o “costosi” sulla base di dati approssimativi, spesso derivati dalle medie storiche. Ed è un atteggiamento molto più diffuso quando si parla di azioni che non di obbligazioni. Il P/E di Shiller ne è l’esempio più comune, anche se in realtà punta a un ribasso delle azioni sulla base di un’inversione delle valutazioni anziché degli utili.

 

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Il rapporto prezzo/utili è certamente più alto della media. Ma quanto conta questo fattore? Il grafico in alto ci sembra più una serie di regime che una serie stazionaria

- circa quindici anni di quotazioni in calo da metà anni ’60 a metà anni ’7
- valutazioni relativamente invariate per dieci anni, poi un riapprezzamento tra il 1985 e il 1999
- un periodo di valutazioni più volatili, inclusi la bolla e il crollo dei titoli tecnologici, e il collasso degli utili (e conseguente opportunità di investimento) della crisi finanziaria

Ci sono periodi di durata più che decennale in cui sperare in un ritorno verso la media sarebbe stato molto doloroso, anche conoscendo in anticipo la media nell’arco dell’intero periodo.

Cosa intendiamo per “costoso”?

Come responsabili dell’allocazione del patrimonio, dobbiamo avere ben chiaro cosa intendiamo quando definiamo costoso un certo asset. Pensiamo che subirà una correzione, oppure che offrirà un rendimento positivo, ma inferiore a quello cui eravamo abituati?

L’idea di ritorno verso la media delle valutazioni implica la prima ipotesi, quindi sarebbe meglio detenere liquidità, anche se offre a sua volta un rendimento negativo. Tuttavia, se propendiamo per la seconda ipotesi, come gli investitori sembrano sempre più propensi a fare nel caso delle obbligazioni, la conclusione è tutt’altro che facile.  In quel caso, le obbligazioni a lunga scadenza, gli immobili e le azioni continuano a offrire le remunerazioni più attraenti, fra gli asset principali in concorrenza fra loro.

Un’interpretazione comportamentale del premio al rischio

La nostra interpretazione dei premi al rischio elevati di oggi è che gli investitori esigono una compensazione maggiore per detenere azioni, a causa del pessimismo sugli utili e della scarsa disponibilità a tollerare la volatilità a breve termine. Su questi aspetti delle convinzioni degli investitori ha influito l’esperienza degli ultimi dieci anni: la cicatrice mentale lasciata dal susseguirsi di crolli azionari, dalla crescita globale fiacca e dalla maggiore redditività del capitale offerta da quasi tutte le obbligazioni.

Riteniamo che queste forze comportamentali, unitamente ai fondamentali, possano definire un regime, e una domanda che ci poniamo è come questi elementi potrebbero cambiare.

Se dovesse arrivare conferma del fatto che ci troviamo in un regime di tassi d’interesse strutturalmente più bassi in via permanente, le azioni e altri asset avrebbero maggiori probabilità di battere le obbligazioni. Più questa situazione si protrae e più si mette in dubbio la tesi di un ritorno verso la media per l’azionario, proprio come gli investitori hanno fatto alla fine degli anni ’90 e sono sempre più propensi a fare oggi per le obbligazioni.  Questo di per sé costituirebbe un nuovo regime, in cui gli investitori dovranno tornare ad essere pragmaticamente flessibili nel modo in cui interpretano la rilevanza del passato.


A cura di Dave FishwickM&G Investments


 

Fonte: www.finanzaoperativa.com

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