Il 2020 ci ha reso spettatori di eventi unici nella storia, come le quotazioni del future sul petrolio arrivate addirittura a prezzi negativi nel pieno della pandemia. Le riaperture delle economie hanno favorito poi il parziale recupero effettuato nei mesi estivi
Passerà alla storia l’anno 2020 per il susseguirsi di eventi e tsunami finanziari successi nei mesi passati. Il forte crollo della domanda di petrolio, dovuto alla chiusura totale delle economie, ha spinto l’OPEC a tagliarne la produzione al fine di stabilizzarne i prezzi e ridurne l’eccessiva volatilità.
Gli effetti quindi delle riaperture e l’azione coordinata dei principali paesi produttori hanno indirizzato il petrolio sulla strada del recupero. Osservando la struttura a scadenza dei derivati sul petrolio si nota come la curva sia in Contango, ovvero il prezzo del front-contract è minore rispetto alle scadenze più lontane evidenziando come il mercato stia prezzando una futura crescita delle quotazioni. Inoltre, dati però i bassi livelli di inventario, lo spread tra i prezzi a 1 e 12 mesi dovrebbe ridursi diminuendo anche quella che è la volatilità sul sottostante.
Nei mesi estivi, i componenti dell’OPEC e, in particolar modo Russia e Arabia Saudita, hanno gradualmente incrementato la produzione al fine di guadagnare una quota di mercato rilevante e soprattutto disincentivare la produzione dai paesi non facenti parte dell’OPEC, come ad esempio gli Stati Uniti che, al di sotto di alcuni livelli di prezzo del petrolio, non riescono ad ottenere profitti.
Si contano infatti, proprio negli USA, decine di aziende che hanno chiesto la bancarotta nel corso di questo ultimo semestre.
Parlando di numeri, vale la pena analizzare i livelli di produzione dei due principali player di questo mercato. L’Arabia Saudita è passata a produrre dai 7.55 milioni di barili al giorno a giugno, a 8.44 milioni a luglio. Le previsioni sono di una produzione di 9 milioni di barili al giorno e, a seguito di una normalizzazione della domanda, ci si attende il ritorno ad un livello di 10 milioni di barili al giorno entro la fine del 2021. La Russia invece a luglio teneva un ritmo di circa 8.6 milioni di barili al giorno e le aspettative per la fine dell’anno prossimo sono di 10.8 milioni.
Se si considera tutta la produzione dei paesi OPEC ci si aspetta il raggiungimento dei 29.1 milioni di barili prodotti al giorno nel secondo semestre del 2021, circa il 19% in più rispetto ai livelli del terzo trimestre di quest’anno.
Dal punto di vista della domanda, il consumo totale medio previsto per quest’anno si attesta a 92 milioni di barili a giorno, con 83 milioni di barili del secondo trimestre di quest’anno e 96 milioni di barili attesi nell’ultimo trimestre. Le proiezioni per il 2021 prevedono una continuazione nel trend al rialzo della domanda fino ad arrivare a 98 milioni di barili al giorno, al di sotto di circa 2 milioni rispetto ai livelli del 2019.
Analizzando geograficamente le singole aree, la flessione della domanda per questa materia prima è contenuta negli Stati Uniti e più pronunciata in Europa. Curioso il caso Cina in quanto, dopo la chiusura totalitaria di tutte le attività a marzo e aprile, nei mesi di riapertura ovvero maggio e giugno vi è stato un aggressivo import del paese che ha riportato la richiesta a livelli leggermente inferiori agli scorsi anni.
I rischi associati all’investimento in petrolio risiedono in fattori geopolitici e nell’evoluzione della pandemia da Covid-19. Al momento la Russia vorrebbe il prezzo sopra i 46 al barile, cosa di cui beneficerebbe anche la posizione fiscale dell’Arabia Saudita aprendo la possibilità a cooperazioni più strette tra i partecipanti dell’OPEC. Il fattore che potrebbe invece porre nuovamente tensioni sui prezzi del petrolio sono le eventuali misure di restrizione per contrastare il virus. In questo drammatico scenario, non è escluso poter rivedere il petrolio al di sotto dei 25 dollari.
Il monitoraggio degli eventi seguendo quelle che possono essere delle linee guida per un’analisi fondamentale, potrebbero portare a diverse possibilità di investimento sia per operazioni di breve, sia per operazioni di più ampio respiro.
L’emittente Societe Generale mette a disposizione una vasta gamma di strumenti su svariati sottostanti con i quali è possibili investire scegliendo le caratteristiche che si sposano meglio con le proprie esigenze.
Prendendo un prodotto in ottica di un investimento di lungo periodo, come l’ETC sul WTI Light Crude Future December 2020 (ISIN: XS1073722297), possiamo aprire una posizione lunga sul sottostante con una partecipazione lineare senza essere vincolati a una scadenza, in quanto questa tipologia di prodotti hanno la caratteristica di essere Open-end e in più sono assistiti da un collaterale che consente di ridurre al minimo il rischio emittente.
Se invece preferiamo impostare operazioni intraday o comunque di più breve periodo, possiamo scegliere un certificato a Leva Fissa , come ad esempio il Leva Fissa X5 short (ISIN: LU2226966153) scritto sul Brent Future che permette di aprire una posizione ribassista amplificando di cinque volte l’andamento del sottostante e con una data di scadenza prevista il 16/12/2022. In questo caso si raccomanda l’utilizzo di breve periodo per non incorrere nel rischio implicito del compounding effect.
Articolo a cura di Pierpaolo Scandurra
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