Dopo un inizio 2014 caratterizzato da prezzi del petrolio su livelli storicamente elevati, il mercato verso metà giugno è girato e da allora il prezzo del petrolio si è più che dimezzato. Questo brusco movimento nasconde varie tematiche sia di lungo periodo che di breve periodo. Analizziamo quindi le cause del crollo del petrolio e cerchiamo di capire quali saranno le possibili future evoluzioni del prezzo. Da un punto di vista di lungo periodo le maggiori evoluzioni da considerare sono il declino della domanda europea, la minor dipendenza degli Stati Uniti dalle importazioni di greggio e la crescita della domanda asiatica.
I consumi di Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia, in dieci anni, sono calati di oltre il 15% e l’EIA, nel suoWorld Energy Outlook del 2014, prevede da oggi al 2040 un ulteriore calo del consumo europeo di prodotti petroliferi, per un ammontare di oltre il 30%. Oltre Atlantico, sul continente americano, la produzione interna di petrolio è fortemente aumentata nell’ultimo decennio, in gran parte per effetto della produzione non convezionale (cosiddetto shale oil). In un decennio, gli Stati Uniti sono passati dal dipendere per oltre il 63% dalle importazioni a una dipendenza attuale inferiore al 40%. Su un consumo totale di poco inferiore a 19 milioni di barili al giorno, a fine 2014 ne producevano più di 11 milioni e dei restanti 8, ne importavano più di 2,5 dal Canada. Le previsioni prevalenti (in gran parte precedenti al recente calo del prezzo) indicano un’ulteriore crescita della produzione interna sia di gas che di petrolio, e un raggiungimento dell’autosufficienza con l’inizio del prossimo decennio. Quindi Europa e Stati Uniti sembrano promettere poco supporto ai prezzi dell’energia.
Molto dipenderà dalla domanda asiatica. La Cina vede infatti consumi di gas e di petrolio attesi in crescita del 5,2% e dell’1,8% (valori medi annui) per i prossimi 25 anni; al contempo l’India stima una crescita rispettivamente del 4,6% e del 3,5%. L’Asia sembra quindi essere l’unico luogo con potenziali margini di ulteriore crescita del consumo d’idrocarburi nel lungo termine. Ma anche questi, nel breve periodo, non sembrano poter influenzare più di tanto l’andamento dei prezzi della materia prima.
La situazione attuale vede quindi un eccesso di offerta di greggio, stimato a circa 1,6 – 1,8 milioni di barili al giorno per tutta la prima metà del 2015, su poco meno di 100 al giorno di consumi globali: a parità di offerta, si nota poco spazio per una risalita dei prezzi.
Uno dei fattori a supporto del prezzo del petrolio potrebbe essere un taglio della produzione da parte dell’OPEC (produttore di 30 milioni di barili al giorno). Dal 1998 ad oggi, ogni ripresa del prezzo del greggio è stata accompagnata da tagli della produzione da parte del cartello. Ma l’OPEC non ha tagliato la produzione nel suo ultimo meeting di fine Novembre e la maggior parte degli analisti non si aspettano un taglio della produzione nel prossimo meeting di Giugno. Vuoi perchè l’Arabia Saudita (maggiore produttore membro del cartello) è disposta a produrre a prezzi bassi nel breve periodo per forzare altri produttori, incapaci di sostenere prezzi così bassi a lungo, fuori dal mercato (come ad esempio lo shale oil). Vuoi perchè in passato quando l’OPEC ha deciso di tagliare la produzione, alcuni dei suoi membri non hanno rispettato i patti ed hanno aumentato la produzione a scapito degli altri e in particolare dell’Arabia Saudita.
In assenza di tagli da parte dell’OPEC, la produzione può diminuire solo per effetto dell’uscita dal mercato dei produttori non capaci di sostenere prezzi così bassi per un periodo prolungato di tempo. Analizziamo ora perchè i produttori non-OPEC non hanno, né possono avere stimolo a rallentare la produzione e per quali ragioni, dunque, hanno come unica alternativa quella di continuare a produrre ai volumi attuali o smettere totalmente di produrre.
Il produttore americano è di regola una società privata indipendente che ha bisogno di generare profitti sulla produzione per finanziare l’investimento corrente. La produzione di un pozzo da cui si estrae shale oil cala a ritmi acceleratissimi, sino al 75% all’anno: il produttore per mantenere la produzione al livello corrente deve continuamente investire. Se interrompe l’investimento corrente, la produzione cala immediatamente. Quindi il produttore di shale oil, non può rallentare il processo continuo di investimento ed estrazione: smettendo d’investire, smette di produrre da subito.
I produttori tradizionali come la Russia o gli Emirati non possono rallentare la produzione senza avere effetti sensibli sui bilanci pubblici, che dipendono in modo diretto dalle entrate generate dal petrolio. In questo caso, a differenza dello shale, il calo del prezzo non produce effetti immediati sulla capacità produttiva: un giacimento continua a produrre per anni senza ulteriori spese in conto capitale e la caduta del prezzo incide sui tempi (lunghi) degli investimenti di rimpiazzo e non sulla capacità immediata di produzione.
Anche se a breve è difficile stimare l’andamento futuro del prezzo del greggio, la situazione non sembra poter continuare per un periodo di tempo prolungato, senza creare danni significativi sia a chi estrae con la tecnica dello shale sia ai produttori tradizionali. Prima o poi, in un modo o in un altro, il prezzo del greggio tornerà a salire, perchè l’OPEC ad un certo punto deciderà di tagliare la produzione oppure perchè i produttori con le spalle meno larghe saranno costretti ad uscire totalmente dal mercato.
L’interrogativo riguarda il quando ed il chi ridurrà la produzione o uscirà dal mercato. Un processo di aggiustamento dell’offerta di petrolio, dovuto al crollo del prezzo del petrolio, è già in corso tra i produttori americani con le spalle meno larghe. Eemerge inoltre come il numero di impianti di trivellanzione americani sia diminuito del 20% dai massimi raggiunti nell’ottobre 2014.
Ci sono infine fattori che potrebbero potenzialmente supportare il prezzo del petrolio nel breve periodo.Questi includono: un inverno particolarmente rigido, un programma più aggressivo di accumulo di riserve strategiche di petrolio da parte della Cina, uno shock positivo alla crescita globale in Europa, US o Asia e interruzzioni della produzione in zone interessate da tensioni geopolitiche come, ad esempio, in Libia o Iraq.
a cura di Moneyfarm
Fonte: www.finanzaoperativa.com
Le informazioni contenute in questo sito non costituiscono consigli né offerte di servizi di investimento.
Leggi il Disclaimer »