I problemi di ampiezza del mercato azionario

Gaetano Evangelista Gaetano Evangelista - 28/04/2020 10:33

Settimana ovunque vissuta all’insegna del consolidamento: il MSCI ACWI subisce una limatura dell’1.6%, lo S&P500 ripiega dell’1.3%, l’Eurostoxx50 cede il 2.75% ed infine Piazza Affari limita i danni al -1.15%, perdendo terreno però per la seconda settimana di fila.

Ciò non impedisce al pubblico di osservare il mercato azionario con occhi più benevoli. Inevitabile, dopo diverse settimane all’insegna del recupero. La somma dei flussi netti verso fondi comuni ed ETF azionari, nelle ultime quattro settimane, sale negli Stati Uniti a 19 miliardi di dollari: è la raccolta netta più consistente degli ultimi 22 mesi. Secondo Ned Davis Research, dal 1998 un flusso netto a 4 settimane superiore ai 15 miliardi di dollari, ha prodotto ritorni successivi annualizzati pari al -22%; di converso, un saldo netto inferiore ai -15 miliardi è stato seguito da performance annualizzate del +24%. Limitando l’indagine agli ultimi 5 anni cambiano le proporzioni, ma non i segni della risposta da parte del mercato.

Goldman Sachs, in una nota rilasciata venerdì, rileva come sussista un problema di “ampiezza” di mercato, denunciato qui da tempo. Lo S&P500 dista il 17% dai massimi di febbraio, ma l’azione mediana appare in ritardo del 28%. Un modo per dire che il rally è merito di poche azioni ad elevata capitalizzazione. Il problema, segnalato in un articolo apparso stamattina su Bloomberg, è che simili compressioni dell’ampiezza di mercato, sono state registrate prima delle recessioni del 1990 e del 2008, nonché durante il rallentamento del 2011 e del 2016.

In effetti è abbastanza inconsueto che un rialzo di simili proporzioni, veda una partecipazione tutto sommato deludente dell’universo delle azioni quotate. Anche soffermandoci sul paniere dello S&P500, non “inquinato” dai titoli quotati al NYSE, è deludente in ottica bullish constatare la persistente assenza di segnali di ripartenza secondo l’affidabile ADT11.


Questa riflessione si lega al messaggio che il mercato vuole veicolare. Se osservassimo lo S&P500, concluderemmo di essere in presenza ad un moderato rallentamento economico, talmente contenuta essendo appunto la distanza che separa le quotazioni correnti dal massimo più recente. Ma se rivolgessimo l’attenzione agli yield obbligazionari, di nuovo sotto pressione e non distanti dai minimi annuali, il messaggio sarebbe ben differente.

In effetti si scorge ora una certa divergenza comportamentale, oltretutto con il rendimento del T-Bond che sembra anticipare bene l’Equity (difatti il minimo è stato conseguito due settimane prima). Se le cose stessero in questi termini, lo S&P dovrebbe presto colmare il ritardo. Al pari peraltro di quanto fatto sui massimi di febbraio.

A cura di Gaetano Evangelista
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